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Spigolo dei Bergamaschi - Monte Adamello (Adamello)

Salita effettuata il 20/08/1989

Sviluppo 900m, impegno complessivo TD, difficoltà massima VI

Portare qualche chiodo a lama, qualche chiodo a V, nut e friend medi e medio-grossi

Linea di salita.

Raggiunge e segue l'evidente spigolo di sinistra sull'ampia parete Nord. Ben visibile dal rifugio Garibaldi e lungo il percorso d'avvicinamento, ma per nulla evidente durante la salita, salvo nel tratto sommitale.

Attacco.

L'attacco originale è sulla verticale dello spigolo, l'attacco da noi effettuato, invece, è molto spostato a destra da tale verticale, nel punto più basso delle placche basali.

Schizzo.

Relazione

Questo il racconto della salita che scrissi pochi giorni dopo la stessa.

Il ruspante

<<Forse non è mai stato tanto diffuso l'alpinismo come in questi ultimi anni, ma, purtroppo, ci troviamo sempre più spesso di fronte all'assurda situazione di tanti alpinisti che alla domenica "fanno la coda" davanti alle più famose vie delle Grigne, delle Dolomiti o, come è capitato a noi, del Cervino (circa 80 persone sulla stessa via).

Non c'è più gioia nel salire in roccia una montagna con l'assillo dalla fretta e la paura di far cadere sassi sulla testa di chi ci segue e contemporaneamente di riceverne sulla nostra da chi ci precede. Meglio quindi riscoprire le vecchie e bellissime vie delle nostre Prealpi, disposti anche ad ore e ore di marcia d'avvicinamento, senza prospettiva di confortevoli rifugi nelle vicinanze>> (1971, "Adamello" n° 32, "Pizzo Badile Camuno – Via dei Camini", E. Guerrini, E. Zugni e G. Baseotto).

Ne è passata di acqua sotto i ponti e chissà quanti altri, in quante altre circostanze, hanno fatto analoghe considerazioni, eppure si continua imperturbabilmente e ineluttabilmente a "fare la coda". Testardaggine, ignoranza o che altro? Non è mia intenzione soffermarmi su tale quesito, voglio invece illustrarvi una di quelle vie su cui si è assolutamente certi di non fare la coda e raccontarvi d'una splendida giornata.

Sarà capitato anche a voi di cercare un qualcosa e di guardare ovunque tranne che dove lo si può trovare, così io, quella settimana, cercavo un compagno d'arrampicata fra coloro che erano in ferie o altrimenti impegnati. Talvolta, però, la fortuna c'è amica: venerdì ore 12, mi squilla il telefono "Emanuele? Sono Mario, si va alla Nord, telefona a Fausto". L'invito, inatteso ma alquanto opportuno, viene immediatamente recepito, accettato e sviluppato: domani si parte.

Un viaggio tranquillo, due ore di cammino ed eccoci al rifugio. La parete è in ottime condizioni, già pregustiamo l'ascensione. "Un momento! Per quale via saliremo?" La decisione, finora rinviata, dev'essere presa. Fra le tante, due vie sono nelle nostre mire, l'una è già stata salita sia da Fausto che da Mario, l'altra è a noi sconosciuta e quindi più appetita ma assai più impegnativa.

Breve consiglio, consultazione della guida e … "Si! Si può fare". La decisione è presa, si va per la seconda.

Domenica ore 4: sveglia e in cammino. Il cielo è terso e punteggiato di stelle, la luna risplende del suo fulgido bagliore, le pile non servono e si procede con passo spedito, dobbiamo attendere prima di attaccare.

Ore 6,30: ci portiamo alla base della parete nel punto indicatoci dal rifugista; superiamo il largo marginale, ci leghiamo e, calzate le scarpette d'arrampicata, iniziamo la salita.

Velocemente superiamo l'estesa placconata basale raggiungendo il filo dello spigolo, direttiva dell'intera salita. Qualche dubbio, presto risolto, ed eccoci all'inizio delle difficoltà: sopra di noi, meravigliose ma compattissime e verticali placche si alternano a superbi diedri e pronunciati strapiombi.

"Dove salire?" Una sosta attrezzata indica la giusta via: una non facile lama orizzontale (che sembra portare a nulla) e un diedro inclinato costellato di chiodi; il primo vero assaggio di quello che ci aspetta.

Il tiro successivo è duro, anche per il vetrato che ingombra alcuni tratti, ma assai vario ed entusiasmante: fessura ad incastro, muretto verticale, breve diedrino, uscita in aderenza su esposta placca, traversata orizzontale e, per finire, un lungo diedro parcamente chiodato la cui risalita richiede una progressione parte in opposizione e parte in Dulfer. Stando alla relazione, invero piuttosto sommaria, dovremmo ora procedere più facilmente e, quindi, più velocemente.

Ingenue speranze!  Certo le difficoltà decrescono, ma alcune (s)piacevoli sorprese ci attendono, inoltre la quota (siamo sopra i 3000 metri) si sente, lo zaino (in cui trovano posto scarponi, ramponi e piccozza) comincia a pesare e la sete (il sole picchia implacabile e non una nuvola si vede nel cielo) inizia il suo tormento. In mezzo a lisce placconate trovo il traverso che, con mirabile progressione, ne permette l'uscita. Più avanti è Mario che indovina il passaggio fra tre magnifici diedri dall'apparenza terrificante.

"La croce! Siamo in vetta". Come non detto, quest'ultimo tratto ci impegna ancora per un'ora. Stupenda l'ultima placca (100 metri sotto la vetta) che richiede delicati movimenti di equilibrio e incastri di dita.

Ore 15, la vetta è raggiunta. Sdraiato sui caldi macigni ripenso alla salita, ai suoi passaggi, all'ottima roccia, alle difficoltà incontrate, all'ambiente, al silenzio, al tempo passato in parete e mi trovo ad esclamare, anzi gridare: "Bellissima! Stupenda! Meravigliosa! Eclatante! La più bella ascensione che abbia fino ad oggi effettuato".

Annotazioni e specificazioni (*)

(*) Sono le annotazioni che risalgono all'epoca della mia salita, oggi alcune cose potrebbero essere cambiate.

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