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Alpinismo, vivere in

Certamente l’alpinismo è ideologia, attività sportiva, gesto tecnico, gioco, gioia e… dolore, ma, soprattutto, è e deve essere dialogo con la montagna.

L'uomo e la montagna

Molto tempo è passato da quando si vedeva nella montagna un possente dio, tre secoli sono trascorsi da quando si riteneva che l’alpe fosse popolata da draghi e demoni, eppure ancora oggi il rapporto tra l’uomo e la montagna è fortemente condizionato da quello stesso sentimento di paura che, per migliaia e migliaia d’anni, ha impedito l’esplorazione e la colonizzazione delle Alpi e dei monti di tutto il nostro pianeta. Anche fra gli stessi alpinisti è tutt’altro che infrequente sentir affermare che la montagna è pericolosa.

Ma è veramente pericolosa questa montagna?

No! La montagna non è pericolosa, la montagna è solo un oggetto nelle mani dell’uomo ed è il modo d’utilizzarla che può generare dei pericoli, è l’azione dell’uomo che può determinare o meno la presenza del rischio, è l’errore umano che causa l’incidente. È, quindi, l’uomo e non la montagna ad essere l’artefice del pericolo.

Un esempio: il crepaccio esiste in quanto logica conseguenza del movimento verso valle del ghiacciaio, l’alpinista che vi cade dentro non può certamente incolpare la montagna del suo incidente, ma deve prendersela con sé stesso, con la propria imperizia, imprudenza o negligenza. Non è stato un agguato del monte all’uomo, ma solo e semplicemente un attentato dell’uomo nei suoi stessi confronti.

L’autocontrollo e ’autocritica sono qualità indispensabili e l’alpinista deve serenamente svilupparle a completamento della preparazione tecnica. È inutile, oltre che ingiusto, imputare alla montagna delle colpe, darle un’etichetta che assolutamente non le si addice, è, questo, un comportamento che consente di rimediare artificiosamente una comoda scusa per evitare il confronto con sé stessi, con il nostro “io” misterioso diverso da quello che pretendiamo di conoscere. Per l’alpinista è necessario abbattere le barriere psicologiche che l’evoluzione tecnica non ha potuto e mai potrà eliminare.

Alpinismo solitario

Vago solingo fra i boschi più neri,
nei vasti pianori,
sui fianchi del monte,
fra i bianchi ghiacciai.
Vago solingo e osservo:
negli occhi mille colori,
mille forme si dipingon.
Vago solingo e odoro:
mille profumi m’invadon le nari.
Vago solingo e ascolto:
cantano gli augelletti,
sibila il vento,
recita l’acqua del torrente,
scricchiola il ghiaccio che rompe.
Nulla disturba l’intimo contatto:
non schiamazzi di gente,
non amici che distolgon la mente,
nulla.
Vago solingo, ma solo non sono:
la Montagna mi accompagna,
mi parla, mi ascolta, mi aiuta.

L’alpinismo solitario è un’esperienza indimenticabile, un’esperienza che tutti dovrebbero provare, una lezione di umiltà e di amore.

Molti negano ciò sostenendo, al contrario, che l’alpinista solitario è essenzialmente un incosciente, nulla di più sbagliato. L’incoscienza non c’entra proprio per niente, contano, invece, la voglia d’imparare, il desiderio di conoscere, la ricerca spirituale e l’amore. Per praticare l’alpinismo solitario non occorre coraggio, ma è sufficiente abbandonare la posizione di padroni dell’universo per avvicinarsi alla montagna con il solo intento di viverla, non per dominarla e conquistarla.

Preso possesso di questi semplici sentimenti, provate a inoltrarvi nel luogo più sperduto e silenzioso che conoscete, andateci da soli, in punta di piedi e senza violenza, sedetevi e liberate i sensi, lasciate scorrere i pensieri. All’improvviso sentirete i mille rumori che sono la voce del monte e vi accorgerete che il silenzio è solo un’apparenza, che il silenzio non esiste, ma eravate voi incapaci di sentire. Avete, così, imparato ad ascoltare e la montagna vi parla.

Certamente la più grande paura che frena l’uomo di fronte all’esperienza dell’alpinismo solitario è la totale impotenza dell’uomo solo, ma tale sentimento è anche il più valido aiuto di cui disponiamo per capire i messaggi del monte. Infatti la nostra impotenza ci serve per meditare sulle presunzioni umane e per imparare a controllare ogni nostra azione, anche la più piccola e semplice.

Alzatevi, ora, e camminate nella solitudine. Quando il sudore vi bagna la fronte, quando il fiato diventa pesante, quando la fatica appesantisce le membra, quando vi sentite indifesi o disorientati, ascoltate le voci del monte, vi accorgerete che la montagna è con voi per assistervi e proteggervi. All’improvviso le forze ritorneranno in voi e la fiducia s’impadronirà della vostra mente, scacciandone la paura. Avete così imparato a comprendere le voci del monte e la montagna vi accoglie.

Imparando ad ascoltare e a comprendere si capisce che la montagna non è un nemico, ma un’essenza viva, un’essenza che può e deve diventare la nostra stessa essenza vitale.

Perchè arrampichi?

Gita di gruppo, seduto davanti al rifugio osservo le cordate impegnate sulla sovrastante parete e penso alle mie prossime ascensioni.

Perché arrampichi?

La domanda mi giunge a bruciapelo esplodendomi nel cervello e togliendomi bruscamente dalle meditazioni. Sulle prime resto incapace di ogni pensiero, ma passato il frastuono dell’esplosione, le idee cominciano a ronzare come api impazzite, mi è impossibile ordinarle secondo logica.

Già, perché arrampico? Quante volte me lo sono chiesto, quante volte me l’hanno chiesto, e mai mi è riuscito di dare una risposta esauriente. Perché mi piace, perché mi diverte, per l’ebbrezza del vuoto, per il confronto con la paura, perché di si, perché, perché, perché. Mille risposte, tutte valide ma tutte incomplete in quanto dietro quella la semplice domanda si nasconde un quesito molto più profondo e complesso: l’arrampicata è scelta di vita o inutile rischio di morte?

Stavolta voglio provare ad esaurire l’interrogativo e comincio un viaggio mentale nel mio passato, ripercorrendo le tappe della mia storia alpinistica.

È la curiosità a spingermi a provare l’arrampicata. I primi approcci sono senza convinzione e la paura è tanta, ma con l’acquisizione delle giuste conoscenze mi rendo conto che il pericolo non è implacabile e che, con un adeguato controllo delle mie azioni, posso ridimensionare i rischi, mantenendoli entro dei limiti tollerabili.

Con la successiva esperienza pratica giungo a verificare che quando il mio corpo e la mia mente diventano parte stessa dell’ambiente, il pericolo svanisce completamente.

L’acquisizione dello stato di simbiosi e l’eliminazione dei timori ancestrali mi consentono di cominciare a percepire la parete, il mio movimento e le forze che la natura mi oppone. Conseguentemente posso adeguare le mie gestualità a finissime esigenze meccaniche e morfologiche e la mia progressione diviene dinamica espressione dei miei sentimenti e delle mie sensazioni: arrampicare è armonia, sentimento, esaltazione dell’essere e del vivere, gioia profonda; il rocciatore è la roccia, il cielo e l’aria..

Perché arrampico? Perché amo la vita e arrampicare è arte di vivere. Non cerco emozioni speciali o conquiste sensazionali, ma semplicemente mi sento albero e come l’albero continuo a salire sempre più in alto alla ricerca del sole, del sole che è fonte di vita. Anche se mai potrò raggiungerlo, sempre guarderò e camminerò verso di lui, imparando dalle albe e dai tramonti, meditando sul passato, sul presente e sul futuro, crescendo insieme all’energia ch’esso m’infonde. E così insegnerò, come l’albero insegna ai rami a fare nuovi rami e a questi a fare i frutti, frutti che produrranno il seme generatore di nuova vita.

Emanuele Cinelli

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